Lo spettro dell’anarchia turba, tra Otto e Novecento, il borghese europeo e tanto più gli scrittori, indecisi tra fascinazione e avversione. L’idea che uccide esplora, lungo una rete di percorsi intrecciati, una varietà di trame e personaggi romanzeschi nei quali riversarono la loro ambivalente curiosità per il mondo anarchico scrittori come De Roberto e Oriani, Valera e De Amicis, Cena e Bacchelli, Turgenev e Dostoevskij, Zola e Bourget, Tolstoj e Léon Bloy, Conrad e Orwell, Pea e Vittorini, assieme a numerosi altri (di cui alcuni poco noti come Leda Rafanelli, o ignoti come Antonio Agresti), fino a Savinio e Sciascia, a Gianna Manzini e a Maurizio Maggiani. Emerge dalle loro pagine una ricca galleria di figure e situazioni, dalle quali ogni scrittore – anche quando appare intimorito – è segretamente stregato, affascinato dal miraggio di un paradiso in terra o di una catastrofe giustiziera, di un evangelo laico o di una praticabile utopia.